Esperienze di parti

Esperienze di parti

Come è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”

Radici

Infinite sottili delicate

donate miracolosamente la vita

instancabili succhiate la vita della terra,

spingendovi innanzi ora per ora.

Siete creature dell’oscurità solo il vostro protetto scorge la luce,

innalzandosi al cielo orgoglioso.

Forte e pregiato è il suo legno

immensa è la sua gratitudine.

In vostro onore fiorisce indimenticabile.

Vi perapara un banchetto:

nella sua chioma canta un coro di uccellini,

chi passa innanzi si rallergra a vederlo.

Ma chi immagina che questo miracolo ha inzio nell’oscurità?

(Martina Bortolotti, 1991)

 

All’interno della cerchia “junghiana”, ovvero dove gli individui si accomunano per impegnarsi a conoscere il mondo attraverso quell’epistemologia del finalismo, del senso, dell’inconscio come il tutto, e degli opposti come imprescindibili per la vita terrena, sappiamo bene come una cosa ci si rende percepibile e manifesta solo in virtù della sua “cosa” opposta.

Ci sarà allora familiare pensare al buio parlando di luci.

Nella mia fantasia sono emerse immagini della più svariata vitalità: primavere, rugiada su i boccioli dei fiori, albe, nascite, candele in una serata romantica, lucine di natale dei borghi e città votate al commercio più denudato.

Nel mezzo del bagno nella luce, qualcosa di esterno, ma potrebbe essere venuto anche dall’interno (dice Jung: “Se proveniva da fuori (il nuovo), diventava una profonda esperienza interiore, se proveniva dall’interno, si trasformava in evento esterno. In nessun caso però era stato procurato intenzionalemente e coscientemente, ma sembrava piuttosto generato dal fluire del tempo. “. C.G.Jung, Commento al segreto del fiore d’oro. Pp 38, 39), mi ha fatto fare una corsa nell’opposto, per aiutarmi in qualche compensazione necessaria.

E allora scriverò di oscurità, di lutto e di fine come istanze necessarie per una rinascita, come sfondi necessari per poter scorgere le luci più pure, nette e chiare, come suggerisce il titolo “rubato” dalla celebre frase di Franco Battiato nel suo testo “Prospettiva Nevskij”: “E il mio maestro mi insegnò come è diffcile trovare l’alba dentro l’imbrunire”

Partendo dai riferimenti filosofici-letterari di Battiato, questa citazione ci pare pregna di rimandi al concetto di reincarnazione e, oltre forse a Gurdjieff e a Battiato stesso, a tutta quella filosofia alchemica, gnostica, pitagorica e orientale, che ci parla dei processi invisibili dell’esistenza, che attestano che a uno stato succede un altro, e che il nuovo sorge da una completezza data solo dall’unione di due opposti, anche durante una stessa vita.

Battiato in questo sublime pezzo ci ricorda, quando dice “il mio maestro mi insegnò com’è difficile…”, che non ci sono vie meccaniche che un maestro ci può insegnare, ma solo vie spontanee e complesse da scoprire con impegno e fatica, come ci ricorda anche Jung, prendendo quindi le distanze da ogni dogmatica spirituale e psicologica, quando in moltepilici testi sottolinea che ognuno ha la sua via e incoraggia a non imitare la vita di qualcun altro ma a vivere la propria vita, “Si tratta di dire sì a se stessi, di porre a sé stessi, come il compito più grave, quello di essere sempre consapevoli in ogni azione, e di tenere tutto ciò sempre davanti agli occhi in tutti i suoi aspetti problematici: davvero un compito che richiede un impegno totale” C.G. Jung, Commento al Segreto del Fiore d’oro. p. 41

Ciò che nella frase di Battiato e in questo articolo trattiamo, è lo scorgere dell’ “alba dentro l’imbrunire” ovvero l’esperienza interiore o esteriore che laddovè tutto sembra perduto, morto, senza uscita, siamo in prossimità di una rinascita che se non si compie ora, si compierà, come natura ci insegna.

Sono partita da una frase del cantautore siculo e ho scritto qui poco sopra e nel titolo la parola “esperienze” per non mettere in secondo piano, che certe consapevolezze nascono solo da vita diretta, quindi da vissuti spesso dolorosi perchè apparentemente contradditori e dall’impegno a, grazie a questi vissuti, a superare se stessi, invece che a regredire, a chiudersi, ad irrigidirsi.

Nello specifico parlerò di parto come esperienze in cui l’intelletto, le dottrine, gli insegnamenti, i precetti, la morale vengono spazzati via dalla voce tonante del mistero della natura e dove il concetto che ognuno ha la propria via, diviene sempre più necessariamente vero.

Codesta natura è presente ed è la base di tutte le cose, anche quelle culturali create dalla technè dell’essere umano, dal suo avere il pollice opponibile e dall’archetipo psichico che gli corrisponde, ovvero la cultura, l’intelletto, i valori, la società.

Ma nella gravidanza e nel parto, questa natura si palesa, a mio vedere, in modo più manifesto, fino a far tacere, almeno momentaneamente lo spirito, ciò che è alla natura terrena, opposto.

Quel che segue è il frutto di un recente approfondimento fatto grazie al racconto del vissuto di amiche mamme, di pazienti e dall’esperienza personale, sia in prima persona, che indirettamente per mezzo della vicinanza con le dirette interessate. Non ha perciò la presunzione di essere un articolo di psicologia scientifica, ma un discorso nutrito dall’intuito che vuole penetrare nella profondità di eventi terreni, naturali, e quotidiani e osservarne i processi ad essi sottesi, motore invisibile del loro accadere.

Non di rado si legge e si sente dire che partorire è un’esperienza legata per analogia alla morte.

Il nascituro passa da un mondo ad un altro e saluta il vecchio stato con un passaggio spesso lungo, difficile e misterioso nel suo esito. La luce è visibile solo con il buio intorno. La nascita è una festa, dopo un periodo di attesa e quindi dell’essere all’oscuro dell’imminente futuro. La medicina occidentale ha trovato delle soluzioni abbastanza efficienti a tale imprevedibiltà: soluzioni come le ecografie, i test statistici per prevedere le trisomie, il cesareo, l’ossitocina, l’epidurale…E così il rischio biologico e fisico trova abbastanza frequentemente, grazie al progredire della scienza, una soluzione che tranquillizza. E per il piccolo cucciolo il pericolo insito in questo passaggio sembra scampato, almeno temporaneamente.

Ma questa esperienza che (dal nostro punto di vista) rimanda simbolicamente alla morte, riguarda forse sopratutto, l’imminente mamma e, forse, andando ad interessare funzioni psichiche diverse, anche il padre.

In questa sede il processo psichico del padre, di per sè, non è affrontato, ma si accenna solo a ciò che concerne la relazione con quel femminile che vede, spesso a stretto contatto e quotidianamente, mutare profondamente. Si trova, spesso senza averne acquisito precedentemente alcuna esperienza, a vivere i cambiamenti dell’Altra e trovarsi a doversi confrontare, con esito incerto, con ciò che queste trasformaizoni psicofisiche suscitano in lui, e così ad avvicinarsi, o ad allontanarsi, al/dal proprio femminile interiore.

Una gravidanza, un parto, può essere dunque un occasione per prendere coscienza, dell’essenza più profonda della femminiltà, e ciò potrà maturare il suo rapporto con un femminile interno ed esterno e ad essere un importante crocevia che porta alla crescita dell’intera personalità.

Dice Donatella Peruzzo Bortolotti “più di ogni altro aspetto della vita l’attesa si qualifica come quel momento in cui psicologico e biologico si fondono, la fusione di due identità, quella femminile e quella maschile. (…) La possibilità del neonato di definirisi come individuo autonomo dipenderà dall’identità psicosomatica che la coppia ha raggiunto nel momento in cui vive l’evento, dei desideri univoci o non della coppia di entrare in un ruolo paterno e materno, del ruolo di contenimento e di protettività che infonde il partner per l’andamento di una gravidanza serena della donna.” ( estratto da L’attesa come esperienza globale. Aspetti psicologici della gravidanza in Nascita e Società, di Ivano Spano e Flavia Flacco), Pp.197-199

Un bellissimo passo del Liber Novus di C.G.Jung ci illumina su quanto sopra abozzato:

Voi cercate il femminile nella donna e il maschile nell’uomo. E così esistono sempre e soltanto uomini e donne. Ma dove stanno gli esseri umani? Tu uomo non cercare il femminile nella donna, ma cercalo e riconoscilo in te, poiché tu, lo possiedi fin dal principio. Ti piace però recitare la parte del maschio, poiché si muove sui binari oliati delle vecchie abitudini. (…)Se presti ben attenzione, vedrai che l’uomo più maschio ha un’anima femminile (…) quanto più sei uomo tanto più distante da te è quel che la donna è in realtà, perchè il lato femminile in te stesso ti è estraneo, e tu lo disprezzi.”

L’osservazione e l’ammissione di incomprensione razionale di quel che avviene nel femminile in un momento così profondamente irrazionale come la formazione di una nuova vita, può invece avvicinare al femminile e allora..

…ti ricorderai della tua umanità. Ti comporterai quindi con la donna non semplicemnte da maschio, bensì da essere umano, bensì come se appartenessi al suo medesimo sesso. Ti ricorderai del tuo lato femminile. Ti potrà sembrare allora di essere poco maschio, per così dire sciocco ed effemminato. Ma tu devi farti carico del ridicolo, che altrimento patirà in te e una volta o l’altra ti aggredirà all’improvviso quando meno te lo aspetti, facendoti fare una figura ridicola. E’ cosa amara per l’uomo più virile, prendersi cura del suo lato femminile, perchè gli sembra un segno di debolezza, ridicolo e non bello.” P. 263

In questi passi Jung parla nel medesimo tono anche a proposito della donna, della sua necessità di accettare la sua parte maschile, farsene carico, ma ho coscientemente saltato questi passi, poichè tratto di una fase della vita in cui, entrambi i membri della coppia devono farsi una bella dose di femminilità. Anche la donna, necessita, per vivere questo miracolo, di immergersi nelle acque di una femminilità pura, che come è avvenuto all’origine della loro vita stessa, trasforma. Quel che deve avvenire, non è più un immersione totale in utero fisico materno, ma in un femminile psicologico, interiore, per essere lei partoriente e saper salutare, quell’essere figlia di madre e padre.

La morte simbolica è il lasciare, trasformandoci, identificazioni, ruoli, stili di vita, aspirazioni e aspettative. Con il corpo e gli ormoni anche la psiche incontra una trasformazione, che non sempre è fluida,anzi molto spesso si rivela problematica, ma i problemi dell’anima, non trovano soluzioni, solo superamenti. E il superamento avviene per qualche disposizione inconscia che se lasciata fluire, si rivela.

La medicina se da una parte aiuta il corpo, può rallentare quella presa di coscienza necessaria alla trasformazione psichica, perchè spesso istinito e archetipo, in assenza di complessualità inconscia, si muovono nel loro processo di cambiamento, di pari passo. Quando si parla di psiche, questo pensiero di Jung ci risuona:

Nel frattempo avevo infatti imparato che i problemi più grandi e importanti della vita sono, in fondo, tutti insolubili; e non possono non esserlo, perchè esprimono le necessaria polarità inerente a ogni sistema di autoregolazione. Essi dunque non potranno mai essere risolti, ma soltanto superati”.p. 38

Durante la gravidanza, con i cambiamenti corporei, di stile di vita e di relazione che avvengono, la donna e chi gli sta intorno, è chiamata dal corpo stesso, ma anche dall’archetipo che si attiva, a predisporsi ad un’accoglienza senza eguali. Ciò che sperimenta durante la gravidanza non è solo funzionale a quei mesi di panza, ma è forse esperienza necessaria di un passaggio graduale da una vita da fanciulla ad una vita di madre,che saprà però presto lasciare un po’ di posto ancora all’essere donna, quando la funzione materna potrà ritirarsi un poco.

Accogliere l’altro è accogliere una vita intera, la sua imprevidibilità. Accogliere l’altro implica accettare che nell’incontro c’è anche il distacco; accogliere l’altro implica una morte di quel che c’era prima dell’incontro: nell’accoglienza di una vita, c’è anche l’accoglienza della morte.

Un figlio è una luce, poiché attiva quell’amore incondizionato che resiste nonostante l’oscurità. Solo quando l’oscurità non è un problema, la luce splende.

Dice Luce Irigaray in “Essere due” : “Ti percepisco, mi faccio un’idea di te, ti conservo nella mia memoria -nell’affetto, nel pensiero- per aiutarti nel tuo divenire. Mentre divengo io, mi ricordo di te. (…) Lasciare essere l’altro, possederlo per niente, contemplarlo come presenza irriducibile, assaporarlo in quanto bene inappropiabile, vederlo, ascoltarlo, toccarlo, sapendo che ciò che percepisco non è mio. Sentito da me, pur rimanendo altro, mai ridotto ad un oggetto.” Pp 54-57

Sebbene Luce Irigaray in questo passo si riferisce ad un amore di coppia maturo, qui lo pongo riferendomi al rapporto con l’Altro che le donne gravide portano dentro di sé. Prendersi cura dell’Altro senza impossesarsene racchiude quella capacità relazionale, non frequentemente scontata nemmeno nel rapporto con i figli, decantata dalla Irigaray.

Il passaggio da figlia a madre, sembra facilitare nella gravida, la creazione di una coppia genitoriale interna, che emana, dal Sè, quell’amore per se stessi, che è indice di un passaggio dalla fanciulezza all’età adulta, base per la capacità di amare l’Altro senza che sia il nostro bastone.

Nell’esperienza del parto, in quelle ora chiamate travaglio, il dolore fisico si intreccia, in forme inconoscibili dalla scienza più pura, a quel processo più o meno difficile, dell’affidarsi -in un momento acuto e preciso- all’accadere della natura, lasciando il sole della certezza e della razionalità, ad altri momenti. Lì avviene la morte, la nascita, il lutto e la gioia. Muore una figlia, nasce una madre, nasce il nuovo e muore il vecchio, il temporale si manifesta e l’antico si deve rivelare nella guida di nuove, ma eterne esperienze.

Quando questo parto -che sia a termine, con esito felice, o quando sia prematuro, indotto o per un aborto spontaneo, perchè sempre di parto si tratta -è vissuto escludendo l’oscurità, quando l’imbrunire è controllato, senza che ce ne sia una necessità medica, attraverso test statistici, milioni di ecografie, epidurali, cesarei, insomma quando avviene una medicalizzazione del parto, senza che sia accertato un rischio biologico, si corre un rischio psicologico.

Dice Donatella Peruzzo Bortolotti:

Fondametalmente si può dire che l’essere umano si sia allontanato dalla sua coscienza ecologica alla ricerca di oggettivazione e di tecnologie dimenticando i veicoli che lo legano alle leggi Universali. La crisi della società moderna nasce dal fatto che questa non è più capace di cogliere la continuità del reale tanto che le sue esperienze finiscono per procedere in modo dissociato e discontinuo. Troviamo in questi fattori il disagio della nostra epoca con la conseguente perdita di soggettività. Questo investe tutti gli aspetti più profondi del nostro essere con una perdita di sicurezza e convinzioni personali, così che la macchina diventa lo strumento sostitutivo di questa perdita di identità e di relazione.” Pp 191-192

Concludo sottolineando che la gravidanza è una tappa del ciclo vitale che trova il suo culmine nell’esperienza del parto, e come fase della vita, porta con sé passato e futuro, morte e vita. In questo momento la coppia porta con se le immagini delle loro relazioni primarie con i rispettivi genitori, e le loro immagini dell’essenza maschile e femminile. Nella luce del parto c’è l’imbrunire di queste immagini: esse riemergono ma per essere reimmerse nell’acqua di una nuova femminilità che le feconda a nuova vita. Come forse tutte le tappe fondamentali del ciclo vitale, il parto vede l’unione di archetipo e di istinto: l’unità psicosomatica si rivela in un passaggio in cui la trasformazione sia fisica che psicologica è evidente e necessaria ed una facilita l’altra e viceversa. Troppa medicalizzazione può rendere più difficile un passaggio psicologico che è sentito nei profondi processi del corpo durante il parto. Ma ognuna ha la sua via, e solo immergendosi nell’oscurità di un momento così profondamente femminile, che questa via si può rivelare, al di là di assolutismi e decisioni preconfezionate.

Ringrazio la bravissima ostetrica Francesca C. e la cara Lia per il supporto e le suggestioni. E Pierluigi per la condivisione costante.

Bibliografia

  • Luce Irigaray,“Essere Due”. Torino: Bollati Boringhieri, 1994
  • Esther Harding,“La Strada della Donna”. Roma: Astrolabio, 1951
  • Ivano Spano, Flavia Flacco, “ Nascita e Società. La medicalizzazione del parto: un aspetto della iatrogenesi sociale”, Padova: Edizioni Sapere, 2001
  • C.G.Jung, “Commento al Segreto del Fiore d’Oro”, Torino: Bollati Boringhieri, 2015
  • C.G.Jung, “Liber Novus”, Torino: Bollati Boringhieri, 2010
  • Verena Schmid, “Venire al mondo, dare alla luce. Percorsi di vita attraverso la nascita”. Milano: Feltrinelli. 2010