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Viveremeglio

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Il protocollo di ArmoniosaMente con i pazienti oncologici. L’esito di uno studio su otto gruppi di pazienti

Scienze dell’Interazione, 1/2, 2014

 

Il protocollo di ArmoniosaMente con i pazienti oncologici. L’esito di uno studio su otto gruppi di pazienti

 

Margherita Galli *, Gioacchino Pagliaro **

 

Riassunto. Con questo articolo si vuole presentare il protocollo ArmoniosaMente1, progetto attivo ormai dal 2003 e di cui è responsabile il Dott. Gioacchino Pagliaro, Direttore dell’Unità Operativa di Psicologia Ospedaliera del Dipartimento Oncologico dell’Ospedale Bellaria di Bologna. Tale progetto è rivolto a donne affette da tumore alla mammella ed integra tecniche meditative, derivate dalla medicina tibetana con incontri formativi – informativi. Il protocollo ArmoniosaMente si basa, infatti, su due aspetti che si sono rilevati basilari nelle pratiche riguardanti la salute, ovvero: una corretta informazione sanitaria e l’utilizzo di pratiche meditative. Si è pensato di chiamare il protocollo “ArmoniosaMente” poiché il suo obiettivo principale è appunto quello di agire sulla dimensione mentale delle pazienti, offrendogli sia una completa informazione sanitaria sia una pratica meditativa che stimoli il loro potenziale interno di guarigione.

 

Parole Chiave: Meditazione, Visualizzazione, Oncologia, Protocollo ArmoniosaMente

 

Summary. With this article we want to present the protocol “ArmoniosaMente”, active project since 2003 in which the responsible is Dr. Gioacchino Pagliaro, Director of the Unit of Psychology Department of Oncological Hospital Bellaria Hospital in Bologna. This project is aimed at women with breast cancer and integrates meditation techniques, derived from Tibetan medicine with training and informative sessions . The protocol “ArmoniosaMente” is based , in fact, on two aspects that are recognized basic practices related to health, namely: proper health information and the use of meditative practices. It was decided to call the protocol “ArmoniosaMente” as its main objective is precisely to act on the mental dimension of the patients, offering both a complete health information and a meditative practice that stimulates their potential internal healing.

 

Keywords: Meditation, Visualisation, Oncology, “ArmoniosaMente” Protocol

 

1. La meditazione

 

Le definizioni di meditazione possono essere molteplici e non sempre coincidenti tra di loro, poiché vi sono connotazioni differenti a seconda della tradizione culturale – filosofica cui si fa riferimento. Il termine sanscrito utilizzato per definirla è “samadhi” e contiene tanto gli aspetti religiosi quanto quelli spirituali, filosofici e terapeutici, il che permette di accostarsi alla meditazione continuando ad aderire liberamente alla propria cultura di appartenenza.

 

Genericamente con il termine meditazione si intende un addestramento alla presenza mentale che, attraverso l’acquietamento della mente ed un livello più profondo di consapevolezza, agisce sul piano fisico, energetico, mentale e spirituale, favorendo l’equilibrio energetico del microcosmo individuale e al tempo stesso mantenendo l’equilibrio tra quest’ultimo ed il sistema energetico del macro cosmo.

 

Lo scopo della meditazione è quello di migliorare la qualità della vita, liberandosi da emozioni e fattori mentali negativi, liberandosi dalla sofferenza e liberando la mente dalle impurità, ovvero da tutto ciò che turba o affligge (Pagliaro, 2004).

 

Sono ormai numerose le ricerche presenti in letteratura che dimostrano gli effetti benefici di questa pratica. A livello fisiologico, infatti, durante la meditazione, diminuisce la frequenza del ritmo respiratorio e del ritmo cardiaco; aumenta il flusso sanguigno nei muscoli del corpo; il cervello emette onde celebrali di tipo alfa e teta (onde tipiche del rilassamento e simili a quelle del sonno profondo) (Hirai, 1975); vi è una riduzione dell’attività metabolica; diminuisce la tensione muscolare; si regolarizza la pressione sanguigna; si rafforza il sistema immunitario e c’è una regolazione a livello della chimica del sangue (Benson, 1976). A livello psicologico, invece, Goleman (1976), importante studioso statunitense, ha indagato gli effetti della meditazione nel trattamento di stress e ansia, scoprendo la sua efficacia anche su molti disturbi di tipo psicologico. Meditare, infatti, diminuisce lo stato di tensione interna; aumenta e favorisce uno stato di tranquillità; aumenta le nostre capacità attentive e di concentrazione; migliora il rapporto con noi stessi; genera apertura e disponibilità nei confronti degli altri; aiuta a sviluppare uno stato mentale sereno.

 

Nello specifico in ambito oncologico, gli studi pioneristici del dott. Simonton (1980), oncologo e radioterapista, hanno dimostrato l’efficacia della meditazione addirittura su pazienti in stadio avanzato di malattia, portando alla conclusione che le emozioni, le convinzioni e gli atteggiamenti mentali possono influenzare pesantemente la salute e la qualità di vita delle persone. Simonton applicò un metodo di supporto oncologico, associato a tecniche meditative, su 159 pazienti giudicati incurabili dai medici e ciò che risultò fu che il metodo da lui utilizzato aveva aumentato da 3 a 4 volte la sopravvivenza in ben 63 pazienti, oltre ad aver portato un netto miglioramento nella qualità della loro vita.

 

2. Le visualizzazioni

 

Quanto appena detto, a proposito delle ricerche condotte da Simonton e quindi all’importanza delle nostre emozioni, convinzioni e dei nostri atteggiamenti mentali, riveste un’enorme importanza quando si parla di “visualizzazione”.

Visualizzare significa “vedere con gli occhi della mente” alcune immagini che hanno la proprietà di produrre effetti benefici.

 

Come scriveva Lazarus (1989): “Se desiderate compiere qualcosa nella realtà, innanzitutto visualizzate voi stessi mentre riuscite a compierla”. Se è vero, infatti, che l’interazione con il mondo produce immagini mentali ed emozioni, è vero anche il percorso contrario e cioè che l’induzioni di nuove immagini mentali, connesse ad emozioni particolari, può portare a nuove interazioni con il mondo aprendo opportunità in termini di benessere psico-fisico.

 

Partendo dal presupposto che ci sono immagini di nostri limiti o di insuccessi incorsi nella nostra vita (i quali alimentano convinzioni che a loro volta inducono l’accadimento di alcuni fatti), l’ipotesi di base – nel lavoro di visualizzazione – è che modificando tali immagini si modifichino conseguentemente anche le convinzioni e i fatti, cioè, i dati della realtà.

 

Questo è il motivo per cui la visualizzazione è oggi ampiamente utilizzata all’interno delle pratiche meditative ad integrazione della psicoterapia tradizionale in diversi contesti di cura, come per esempio quello del supporto psicologico a pazienti oncologici, offerto dall’U.O.C. di Psicologia Ospedaliera dell’Azienda USL di Bologna, all’interno del protocollo ArmoniosaMente.

 

3. Il protocollo “ArmoniosaMente”

 

Il protocollo ArmoniosaMente è ad oggi uno degli interventi più completi nel campo dell’applicazione della meditazione in oncologia. Si tratta di un progetto attivo ormai dal 2003, il cui responsabile è il Dottor Gioacchino Pagliaro, Direttore dell’Unità Operativa di Psicologia Ospedaliera del Dipartimento Oncologico di Bologna, presso l’Ospedale Bellaria.

 

Tale progetto, rivolto a donne affette da tumore alla mammella con trattamenti ancora in corso, integra tecniche meditative derivate dalla medicina tibetana con incontri formativi – informativi di tipo medico ed interventi di educazione sanitaria.

 

In ogni gruppo vi possono essere da un minimo di 12 partecipanti ad un massimo di 15 partecipanti ed all’interno del progetto possono essere inserite tutte le pazienti, poiché non ci sono limitazioni o vincoli dati da variabili quali l’età o il livello culturale. ArmoniosaMente è basato su due aspetti in particolare, che si sono rivelati basilari nell’efficacia delle pratiche riguardanti la salute: la corretta informazione sanitaria e l’utilizzo di pratiche meditative.

 

Infatti, se da un lato è ormai evidente l’importanza che una corretta informazione sanitaria può svolgere nel creare l’adesione del paziente alle cure e nel rafforzare il suo sentimento di fiducia verso quello che sta facendo, dall’altro è ormai ampiamente dimostrato che la meditazione è un ottimo strumento pratico, utilizzabile dalle pazienti stesse per gestire lo stato di stress o ansia di cui spesso sono vittime.

 

Si è pensato di chiamare il protocollo “ArmoniosaMente” poiché il suo obiettivo principale è appunto quello di agire sulla dimensione mentale delle pazienti, offrendogli sia una completa informazione sanitaria sia una pratica meditativa che stimoli il loro potenziale interno di guarigione.

 

Il progetto si sviluppa nell’arco di undici incontri, a cadenza settimanale. Il primo incontro, con lo psicologo di riferimento, è di carattere prevalentemente introduttivo e serve per spiegare alle partecipanti quali sono le modalità secondo cui si svilupperà il corso e quindi i due livelli sopra citati.

 

I sei incontri successivi, come si è detto, riguardano la parte informativa di educazione alla salute e sono tenuti da tutti i medici specialisti che le pazienti incontrano durante il loro percorso di trattamento. Il primo incontro è diretto dal senologo, che sensibilizza le pazienti ad esempio sul tema dello screening mammografico e quindi della prevenzione; nel secondo incontro le pazienti incontrano il chirurgo, che presenta loro le varie possibili tipologie di intervento chirurgico cui potrebbero essere sottoposte; il terzo incontro è diretto dall’oncologo, che mostra loro i differenti tipi di trattamento e spiega in quali casi e perché ne viene scelto uno anziché un altro; nel quarto incontro le pazienti hanno la possibilità di confrontarsi con il radioterapista che spiega l’importanza di questi trattamenti; il quinto incontro è condotto dal dietologo, che ha l’occasione di sottolineare l’importanza di una corretta alimentazione; il sesto ed ultimo incontro è tenuto da un medico specialista dello sport che, coerentemente con l’incontro precedente, rafforza l’importanza di uno stile di vita sano e di una attività motoria costante per prevenire episodi di ricaduta.

 

Gli obiettivi di questa prima parte quindi sono: offrire una corretta informazione sul tumore della mammella e sui trattamenti conseguenti; sviluppare un atteggiamento mentale fiducioso da parte delle pazienti nei confronti delle terapie, per poter mobilitare le loro risorse interne; consentire ai medici di potenziare la dimensione relazionale della cura, troppo spesso trascurata per problemi organizzativi e di tempo.

 

Gli ultimi quattro incontri sono tenuti, invece, dallo psicologo di riferimento e riguardano il percorso di meditazione. Partendo da un’auto-presentazione delle partecipanti per inquadrare le loro storie di malattia, le loro convinzioni sulla malattia ed i loro atteggiamenti mentali a riguardo, si procede con l’introduzione al concetto di meditazione. Vengono fornite le istruzioni basilari per poter poi insegnare loro un primo esercizio di presenza mentale che dovranno ripetere a casa, il maggior numero di volte possibile e fino all’incontro successivo. In quell’occasione, dopo un primo resoconto da parte delle partecipanti su come è andata la loro settimana, sulle modalità con cui hanno svolto l’esercizio e sulle eventuali difficoltà trovate, si procede con un commento dei resoconti individuali da parte dello psicologo e con l’insegnamento di una nuova parte dell’esercizio, introducendo una specifica visualizzazione. Lo stesso accade nell’incontro successivo e nell’ultimo, nel quale viene insegnata la parte conclusiva della visualizzazione, arrivando così a completare la pratica meditativa. L’ultimo incontro si chiude con un bilancio complessivo dell’esperienza da parte delle pazienti. Terminata anche questa parte di incontri settimanali si procede poi con tre incontri a cadenza mensile per offrire l’opportunità alle pazienti di continuare a trovarsi in gruppo. In questa seconda fase viene fatta anche un’indagine psicodiagnostica, somministrando il POMS (Profile of Mood Stare) durante il primo e l’ultimo incontro. Il significato in Italiano della sigla POMS è “analisi degli stati emotivi” ed infatti il test viene genericamente utilizzato per analizzare aspetti fisiologici e comportamentali ma anche soggettivi ed emotivi (come sensazioni o umori) che possono aver caratterizzato la vita del soggetto nell’ultimo periodo. E’ composto da 58 item, costituiti da locuzioni o aggettivi, che vanno a definire sei fattori in particolare: il fattore “T” (tensione-ansia) che analizza la tensione somatica osservabile dall’esterno ma anche manifestazioni psicomotorie o stati di ansia vaga e diffusa; il fattore “D” (depressione- avvilimento) che si riferisce ad uno stato depressivo accompagnato da un senso di inadeguatezza personale ma anche a sentimenti di integrità personale, di inutilità dei propri sforzi o di isolamento emotivo; il fattore “A” (aggressività-rabbia) che va ad indagare sentimenti di rabbia intensa, aperta e manifesta ma anche sentimenti di ostilità più attenuati e nascosti; il fattore “V” (vigore-attività) che rileva lo stato di vigore, di esuberanza, di energia e di vitalità della persona,; il fattore “S” (stanchezza-indolenza) che si riferisce soprattutto alla sensazione di noia, alla mancanza di forza ed infine il fattore “C” (confusione-sconcerto) che spesso rappresenta il risultato di una auto valutazione in merito alla propria efficienza cognitiva.

 

3.1. Dati sperimentali

 

A sostegno di quanto illustrato fino ad ora riportiamo alcuni dati relativi al protocollo ArmoniosaMente applicato, presso l’Unità Operativa di Psicologia Ospedaliera del Dipartimento Oncologico all’Ospedale Bellaria di Bologna.

 

Sono stati presi in considerazione otto gruppi di pazienti per un totale di 69 donne con neoplasia alla mammella, in trattamento presso l’Ospedale Bellaria e che hanno partecipato ad ArmoniosaMente tra Settembre 2010 e Settembre 2013.

 

Tutti i gruppi hanno seguito lo stesso protocollo (1 incontro introduttivo con lo psicologo, 6 incontri informativi di educazione alla salute, 4 incontri con lo psicologo sulla meditazione e somministrazione del POMS) però, mentre in 3 gruppi su 8, test e retest sono stati sottoposti rispettivamente nel primo e nell’ultimo incontro di meditazione, nei restanti 5 gruppi test e retest sono stati invece somministrati all’ultimo incontro di meditazione e al primo incontro di richiamo.

 

Innanzitutto va sottolineato come, già a conclusione della prima parte del protocollo, si sia verificato un aumento della fiducia nelle cure, un aumento della speranza nei confronti della guarigione e come sia diminuita di molto quella sensazione di ansia dovuta alla scarsità di informazioni e alla poca chiarezza su quello che si sta facendo o che si dovrà fare. Con i primi 7 incontri hanno iniziato poi ad essere sperimentati anche i primi legami interni al gruppo, che innescano sempre un forte senso di appartenenza e che interrompono il senso di isolamento percepito fino a poco tempo prima. Dunque, dopo questa prima fase di ArmoniosaMente, i risultati ottenuti nei gruppi presi in considerazione possono essere così classificati: aumento della fiducia nelle cure mediche che le pazienti stanno facendo; aumento del senso di controllo sulla malattia; diminuzione del senso di confusione e smarrimento; rafforzamento della speranza nei confronti della guarigione.

 

Per quanto riguarda le seconda parte ci sembra possa essere utile riportare nello specifico qualche dato numerico, per poter mettere meglio a fuoco che cosa accade realmente durante il percorso. Come si è detto, nella seconda fase del protocollo viene somministrato per due volte il POMS, poiché questo consente di analizzare che cosa si modifica nelle pazienti per ognuno dei fattori che lo compongono.

 

Contando che il campione totale è composto da 69 donne, è emerso che: il fattore “tensione-ansia” è migliorato in 27 donne, così come anche il fattore “depressione e avvilimento” ed il fattore “aggressività-rabbia”; il fattore “vigore-attività” è migliorato in 15 pazienti; il fattore “confusione-sconcerto” in 21 ed infine il fattore “stanchezzaindolenza” in 26. In tutti questi casi c’è stata una modificazione significativa in positivo del fattore considerato.

 

Va notato poi che in 18 pazienti su 69 non sono avvenute delle modifiche per nessuno dei 6 fattori e che nella grande maggioranza dei casi, i fattori che non hanno subito un miglioramento significativo sono rimasti stabili su valori già medio bassi in partenza. Il fattore “vigore-attività” è quello che è migliorato nel minor numero di donne e che, più frequentemente rispetto agli altri fattori, ha subito anche lievi peggioramenti. Questo lo possiamo spiegare con il fatto che le pazienti che partecipano ad ArmoniosaMente di solito sono ancora nel pieno del loro faticoso iter terapeutico.

 

Su un piano più generale si può comunque affermare che, rispetto alle pratiche di meditazione, le pazienti si sono mostrate molto motivate ma soprattutto curiose di apprendere tecniche che potranno utilizzare loro stesse nella vita quotidiana e che potranno essere utili per il loro benessere. Infatti, accade molto frequentemente che, dopo aver colmato le lacune informative ed aver avuto risposta ai dubbi di ordine medico, le pazienti sentano proprio l’esigenza di trovare un modo per prendersi cura di sé e per ridurre le loro ansie e le tensioni. Ecco perché le pazienti si approcciano a questa seconda fase del protocollo con grande entusiasmo.

 

In linea di massima, aldilà dei cambiamenti specifici che avvengono nei vari fattori del POMS, è stato riscontrato che, arrivate all’ultimo incontro, le partecipanti ai gruppi condividono ormai una sensazione di calma che si espande in tutte le situazioni di vita quotidiana delle pazienti e che si connette ad un piacevole sollievo dallo stato di malessere iniziale.

 

Dunque, i risultati riscontrati alla fine della seconda parte di ArmoniosaMente sono stati: un’aumentata capacità di gestione dello stress e della paura da parte delle pazienti; una riduzione dello stato di depressione e di ansia; una migliore sopportazione di tanti effetti collaterali o dei dolori dovuti alle terapie ed un atteggiamento mentale più aperto, positivo e funzionale nei confronti dell’esperienza di malattia.

 

Riferimenti bibliografici

 

Benson, H., Wallace, R.K. (1972), Decreased blood pressure in hypertensive subjects who practiced meditation, supplement II to Circulation, 45-46.

Benson H., Klipper, M. (1976),The Relaxion Response, Avon, New York.

Goleman D., Schwartz, G. (1976), Meditation and intervention in stress reactivity, Journal of Consulting and Clinical Psychology, 44, 456-466.

Goleman, D. (1988), La forza della meditazione , tr.it. Rizzoli, Milano, 1997. Goleman, D. (1997), Le emozioni che fanno guarire, tr.it. Mondadori, Milano, 1998.

Goleman, D. (2003), Emozioni distruttive. Liberarsi dai tre veleni della mente: rabbia, desiderio e illusione, tr.it. Mondadori.

Hirai, T. (1975), Meditazione Zen come terapia, tr.it. red, Como, 1995. Lazarus, A. (1989), L’occhio della mente. Astrolabio, Roma.

Pagliaro, G. (1993), Gli aspetti psicologici del malato oncologico, in Attualità e prospettive in oncologia medica, Atti del Convegno G.O.S.P.A.L., Rotalit, Chiavenna.

Pagliaro, G. (2004), Mente, meditazione e benessere. Medicina tibetana e psicologia clinica, Tecniche Nuove, Milano.

Pagliaro, G., Salvini, A. (2007), Mente e Psicoterapia. Modello Interattivo-Cognitivo olistico, UTET, Torino.
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La funzione inferiore personale e l’ombra collettiva

1. La tipologia psicologica e la funzione inferiore

Cominciando a studiare il modo in cui è strutturata la coscienza, Jung si impegnò con il problema che Friedrich Nietzsche e William James avevano già riconosciuto una generazione prima, mettendo in discussione l’identità della coscienza come unità, sostenendo che ci si orienta verso la realtà non attraverso un punto di osservazione fisso, ma attraverso una serie di prospettive. Jung attraverso un lungo e meticoloso lavoro di comparazione è riuscito a descrivere quattro funzioni della coscienza ( utilizzando un linguaggio che riflette il pragmatismo di James) e due atteggiamenti ( qui possiamo sentire l’influenza del prospettivismo di Nietszche).

Parliamo di pensiero (funzione logico razionale), opposta al sentimento ( funzione razionale che assegna giudizi di valore all’oggetto); sensazione (funzione non razionale, percettiva che osserva mediante i sensi corporei) opposta all’intuizione (funzione non razionale, percettiva che osserva mediante i sensi psichici, che osserva le possibilità). Intendiamo come due atteggiamenti quello introverso che vive principalmente attraversando il mondo interiore, e quello estroverso che vive attraverso il mondo esterno.

Nel corso della giovinezza sviluppiamo principalmente una funzione, differenziandola dalle altre che rimangono inconsce e sarà quella che identifichiamo spesso come la nostra coscienza e che chiamiamo funzione superiore e se siamo più o meno brillanti ne differenziamo una seconda che chiamiamo ausiliaria e raramente alcuni individui riescono a costruire un importantissimo ponte che porta da un opposto all’altro, in un processo che nei sogni molto spesso compare attraverso i simboli della rinascita, differenziando la terza funzione. La quarta funzione è quella che rimane inconscia ed è opposta alla funzione principale ed è la porta aperta sul nostro inconscio. La si può avvicinare, solo se sappiamo costruire quel ponte accennato in precedenza, tuttavia essa rimarrà sempre inferiore, più lenta da educare, e un accesso alle immagini dell’inconscio utili per il processo d’individuazione, il processo unico ed irripetibile di divenire ciò che siamo. Gli atteggiamenti introverso od estroverso costituiscono l’orientamento di queste funzioni e si distribuiscono nella personalità secondo la legge della compensazione: se la funzione superiore è introversa, la funzione inferiore sarà estroversa.

Le funzioni che rimangono inconsce, si esprimono appunto in modo inconscio e spesso portano con sé vizi e negatività che chiamiamo male e costituiscono la parte ferita e nascosta della nostra personalità. Nostro compito è differenziarle dall’inconscio e gestirle con coscienza.

2. La somma delle funzioni inferiori e i conflitti sociali

C.G. Jung e M. Louise Von Franz ripetono nei loro scritti e seminari che la piccola porta aperta della funzione inferiore di ogni individuo contribuisce alla somma di male collettivo nel mondo. Lo poterono osservare molto facilmente in Germania quando il demone lentamente travolse la popolazione con il movimento nazista. Ogni tedesco conosciuto a quel tempo da Jung e Von Franz che caddero nel nazismo lo fecero a causa della loro funzione inferiore. Per esempio il tipo sentimento fu convinto degli “stupidi” argomenti della dottrina di partito a causa della lontananza della coscienza dalla sua propria funzione inferiore; o per esempio il tipo intuitivo fu convinto dalla sua dipendenza dal denaro dovuta alla sua sensazione inferiore: non poteva rinunciare al suo lavoro e non vedeva come risolvere il problema dei soldi, così doveva rimanere dove stava nonostante il fatto che non potesse essere d’accordo, e così via. La funzione inferiore fu per ogni persona la porta attraverso la quale una parte di questo male collettivo poté accumularsi. Si potrebbe dire che tutti coloro i quali non avevano lavorato sulla propria funzione inferiore contribuirono a questo disastro generale, in una piccola misura, ma tuttavia, la somma di milioni di funzioni inferiori costituisce un demone enorme. Per questo la propaganda contro gli ebrei fu elaborata in modo molto furbo: per esempio gli Ebrei venivano insultati come intellettuali distruttivi, cosa che convinceva i tipi sentimento, come proiezione del pensiero inferiore. O venivano accusati di essere degli avidi affaristi; cosa che convinceva completamente l’intuitivo, perché rappresentavano la sua funzione inferiore e ora sapevano dove il demone fosse, trovando oggetti apparentemente adeguati alla loro proiezione della funzione inferiore, di aspetti inconsci e di ombra individuale. La propaganda usava i normali sospetti che la gente nutriva nei confronti degli altri a causa della propria funzione inferiore. Così si può dire che dietro ogni individuo la quarta funzione non è soltanto una sorta di piccola deficienza: la somma di queste, se proiettate all’esterno, nella ricerca del capro espiatorio, è responsabile di una tremenda quantità di conflitti; la somma di queste costituisce l’Ombra collettiva.

La colpa psicologica collettiva è una tragica fatalità: ogni individuo porta con sé una funzione inferiore dalla quale può essere agito in piccola o grande misura il male. Di certo la colpa collettiva non va confusa con quella personale. Sul piano personale la questione psicologica dell’auto-conoscenza è un problema dell’ordine della responsabilità individuale. Essa pesa più o meno sulla colpa collettiva, sull’Ombra collettiva proporzionalmente all’integrazione di aspetti d’ombra nella propria personalità.

L’individuo che riconosce la propria funzione inferiore come colpa collettiva, contribuisce in misura minore ad essa. Ognuno è collegato tramite lo strato inconscio del nostro essere umani, agli altri.

3. La responsabilità individuale e la comunità

L’opera di Jung si basa su di un epistemologia della coscienza, secondo la quale la personalità segue linee di sviluppo che attraversano la danza degli opposti universali.

I temperamenti umani sono estremamente diversi tra loro, anzi persino opposti, e la psicologia ci ricorda che in una comunità ciò che giova ad un tipo psicologico può danneggiare il suo opposto.

Ogni circostanza straordinaria fa emergere tanto la bontà, quanto la malvagità dell’uomo. Il grado di sviluppo della personalità, è il veicolo dello spirito comunitario. Il metodo della psicologia del profondo si rivolge alla maturità e responsabilità del singolo. Quegli individui in grado di assumersi la responsabilità di se stessi, saranno anche consapevoli dei loro obblighi verso la comunità.

La comunità non è di per se un fatto positivo, poiché essa è la somma delle singole personalità degli individui e quindi la media dello sviluppo spirituale del singolo.

Quando per esempio il singolo venga incitato ad un altruismo soprannaturale, l’interesse personale ed egoistico ricompare in forme disumane nella collettività, perché gli istinti non si possono scacciare o reprimere totalmente. Uno smisurato sacrificio dei singoli cittadini a favore della collettività non è giustificato, ma appartiene ad una propaganda che nasce da coscienze eccitate e scisse dalla radice naturale ed emotiva del .

4. Il fascino del male e la ricerca del capro espiatorio

Lo scalpore suscitato da ogni delitto e l’appassionato interesse con cui si segue la caccia al colpevole, provano che tutti vengano eccitati dal crimine. Si entra in sintonia e ci si immedesima nel delitto, cercando di capirlo e spiegarlo. Si accende una piccola scintilla di quel fuoco del male che è divampato nel delitto. Già Platone sapeva che la vista del brutto produce un brutto effetto nell’anima. Ci si sdegna contro l’assassino e se ne invoca il castigo, e si è tanto più decisi, accaniti e spietati in questo, quanto è più corposa la scintilla del male che arde nell’animo. Il crimine sveglia il male inconscio in noi. Attratti dall’irresistibile fascino del male, concorriamo a rendere possibile una parte del crimine. La contaminazione con l’Ombra collettiva è inevitabile, qualunque sia il nostro atteggiamento cosciente. Se manifestiamo indignazione morale, il nostro sdegno è tanto più venefico e vendicativo, quanto più gagliardo arde in noi il fuoco del male. Nessuno può sfuggire a questa sorte, perché siamo tutti così profondamente membri stretti della comunità umana, che ogni crimine accende in qualche cantuccio della nostra anima una segreta soddisfazione. Ognuno alberga in sé il proprio criminale statistico, allo stesso modo in cui vive in lui un “folle” o un santo in potenza. In base a questa generale predisposizione umana esiste, riguardo ad ogni aspetto del comportamento, una corrispondente suggestionabilità o suscettibilità al contagio. La vista del male ridesta il male nella propria anima. Non è solo la vittima a soffrire, ma anche il carnefice e tutti coloro che si trovano nell’orbita del misfatto soffrono insieme a lei. Quando qualche elemento dell’oscuro abisso del mondo inconscio collettivo fa irruzione siamo tutti coinvolti.

Da un punto di vista esterno e concreto i più sono innocenti, sono le vittime, derubate, ingannate, oltraggiate, eppure, proprio per questo motivo, nel nostro sdegno morale scoppietta la fiamma del male. Così dev’essere, vale a dire è necessario che qualcuno si indigni e si faccia giustiziere in nome del fato: il misfatto richiede espiazione, tuttavia ci si può indignare senza perpetuare odio proiettando Ombra, nella misura in cui siamo coscienti della presenza della funzione inferiore nella nostra personalità. Quando non siamo coscienti della nostra funzione inferiore, ne abbiamo impressione e ci rende suscettibili e dà adito a tentativi di imporsi in modo eccessivamente compensatorio sugli altri e nel mondo.

Per esempio nella Germania nazista la conquista dell’intelletto o della tecnica costituiva un tentativo di compensazione dell’inferiorità del sentimento. Le teorie razziali pseudoscientifiche con il tempo hanno svelato l’inferiorità del sentimento agito del popolo germanico nel colludere più o meno coscientemente con lo sterminio degli ebrei.

Nietzsche ha descritto in Così parlò Zarathustra la figura del “pallido delinquente” che ricorda i tratti dell’isteria: il soggetto non vuole e non può sopportare la sua colpa, proprio come non può evitare di commetterla. Non rifugge così dall’autoinganno per risparmiarsi la vista di se stesso.

L’inferiorità, ovvero la funzione inferiore, una funzione non differenziata, rozza, primitiva, infantile, esiste realmente in ognuno di noi. Quando se ne ha un vago sentore, senza che la coscienza prenda parte attivamente ad un processo di accettazione, parziale conoscenza e dialogo con essa e sua gestione, può darsi una scissione della personalità, come se la mano destra non sapesse ciò che fa la mano sinistra, nel voler ignorare la propria ombra e nel ricercare negli altri ogni fosca colpevolezza, ogni elemento di inferiorità. In tal caso i soggetti si sentono circondati da individui che si pensa o si sente siano animati solo da spregevoli motivi, da individui di, in qualche modo, classe inferiore, che dovrebbero venir sterminati perché si possa mantenere la propria elevatezza e perfezione. L’ombra individuale che si manifesta tramite la funzione inferiore, si mostra all’opera semplicemente in tali pensieri e sentimenti e come si diceva inizialmente, la somma di agiti d’ombra di questo tipo, costituisce un’ombra collettiva potenzialmente catastrofica, come già abbiamo potuto constatare più volte nel corso della storia.

5. Isteria, propaganda ed esaltazione inflazionata

La totale cecità nei confronti del proprio carattere, la giustificazione autoerotica di sé stessi, la denigrazione o terrorizzazione del prossimo, la falsificazione menzognera della realtà, il cercare di imporsi sugli altri, il bluffare e imbrogliare le carte, sono sintomi di una scissione della personalità, sintomi di nevrosi isterica, diagnosi secondo Jung di colui, ad esempio, che fu immagine di una delle ultime catastrofi. La diagnosi più esatta per Hitler sarebbe stata, per Jung quella di pseudologia phantastica, una forma di isteria caratterizzata dalla particolare capacità di prestare fede alle proprie bugie. Nella pseudologia non si può essere certi che il movente principale sia l’intento truffaldino; spesso è il “grande progetto” a fare da protagonista e soltanto quando si avvicina il problema della realizzazione pratica di tale progetto, solo allora, in base al detto “il fine giustifica i mezzi”, si sfrutta ogni possibilità ed ogni mezzo diventa buono; questo significa che la situazione diventa pericolosa solo a partire dal momento in cui lo pseudologo viene preso sul serio da un pubblico di ampie dimensioni.

Jung stesso non esclude la possibilità che all’inizio Hitler potesse nutrire dei buoni propositi e che solo nel corso degli sviluppi successivi rimanesse vittima dell’uso del mezzo sbagliato o dell’abuso del mezzo di cui poteva disporre. La natura dello pseudologo è rendersi credibile ed è naturale constatare che la maggioranza dei tedeschi e come delle nazioni straniere, subisse il fascino dei discorsi di Hitler, così diabolicamente ben allineati con il gusto dello spirito del tempo dell’epoca. Dopo la seduzione iniziale del grande progetto, quando si acquisì consapevolezza di ciò che stava accadendo, venne a mancare ogni reazione. Ciò si spiega alla luce della disamina precedente considerando uno specifico stato mentale collettivo, una disposizione transitoria che in un individuo prenderebbe il nome di nevrosi isterica. Essa consiste nel fatto che gli opposti insiti in ogni psiche, in particolare quelli che riguardano il carattere, sono tra loro più distanti rispetto ai soggetti non isterici. Questa maggiore distanza produce maggiore tensione energetica, che produce maggiore energia e dinamismo ma anche intime contraddizioni, conflitti morali, disarmonia del carattere. Fenomeno ben descritto nel Faust di Goethe. L’elemento essenziale dell’isteria è una dissociazione sistematica degli opposti che normalmente sono strettamente congiunti tra di loro, un allentamento che a volte giunge a provocare una vera e propria scissione della personalità, ovvero una situazione ove la mano sinistra non sa ciò che fa la destra e dove è presente una stupefacente ignoranza dell’Ombra: si conoscono soltanto i propri buoni motivi e quando i cattivi non possono più essere negati, compare allora il superuomo senza scrupoli che si crede nobilitato già soltanto dalla grandezza della sua meta.

Non conoscere l’altro lato di sé porta ad una grande insicurezza interiore: si sente la presenza della propria ombra e della propria funzione inferiore ma non la si vuol conoscere, anzi la si nega e la si rifugge. Questo atteggiamento porta, per la naturale dinamica polare, all’accrescimento dell’Ombra. Da questo fenomeno nasce la millanteria, la presunzione, l’ignoranza, la sfrontatezza, la mancanza di tatto, il moralismo, la manipolazione.

6. Scienza e divinità

Come la colpa collettiva, così anche la diagnosi delle condizioni mentali coinvolge un popolo intero e oltre a questo tutta l’Europa, il cui stato mentale, constata Jung, non era tanto “normale” già da un po’ di tempo. Jung riuscì in molti viaggi a instaurare un rapporto stretto con popoli non europei, così da poter vedere gli europei con gli occhi di quei popoli.

Da tempi immemorabili la natura è sempre stata animata, ora viviamo in una natura inanimata, priva di dei. La psicologia e la filosofia, così come le religioni non possono negare l’importanza che le potenze dell’anima umana, personificate in spiriti e dei, hanno avuto in passato. Un semplice atto illuministico è bastato ad eliminare gli spiriti della natura, ma non i fattori psichici corrispondenti, come per esempio la suggestionabilità, la mancanza di senso critico, il timore, la propensione alle superstizioni e ai pregiudizi, in breve tutte quelle qualità caratteristiche che rendono possibile la possessione psichica. Se la natura è diventata inanimata, le condizioni psichiche che generano i demoni sono invece rimaste attive come sempre. I demoni non sono scomparsi, hanno solo mutato aspetto. Ora sono diventate potenze psichiche inconsce.

Questo processo di riassorbimento è proceduto di pari passo con una crescente inflazione dell’Io, osservabile chiaramente a partire dal sedicesimo secolo.

Si cominciò perfino a rendersi conto dell’esistenza della psiche, a scoprire l’inconscio. Così facendo si pensava di aver fatto piazza pulita di tutti i fantasmi, ma invece scoprimmo che gli spettri non stavano più nei ripostigli o tra le rovine, ma nelle teste degli europei in apparenza normali. Si imposero idee tiranniche, ossessive, entusiastiche, abbacinanti e gli esseri umani iniziarono a credere alle cose più assurde.

Jung insiste nelle sue opere che se si nega l’esistenza dei complessi, illudendosi di eliminarli con la loro semplice nomina, non è più possibile comprenderne l’effetto, che continua a permanere, e quindi non è possibile assimilarli alla coscienza. Essi diventano così un inspiegabile fattore di disturbo, che si finisce per credere che si trovi da qualche parte fuori di noi. La proiezione dei complessi produce una situazione pericolosa, in quanto si attribuiscono effetti disturbanti a una volontà cattiva al di fuori di noi, che naturalmente non potrà essere trovata da nessun altra parte se non nel vicino, il che conduce a deliri collettivi, motivi di guerra e rivoluzioni sanguinarie, in una parola a distruttive isterie e psicosi di massa.

Le vicende a cui assistiamo oggi e a cui assisteva Jung sono lo sfogo di un’alienazione mentale generalizzata, un’irruzione dell’inconscio sulla scena di quello che sembrava un mondo ordinato.

Ci troviamo di fronte ad una legge psicologica immutabile: una proiezione venuta a cadere, ritorna sempre alla sua origine. Si ha l’idea che Dio o gli dei siano morti, ma l’immagine psichica di Dio, che rappresenta una determinata struttura dinamica e psichica, ritorna nel soggetto e lo rende “simile a Dio”, lo inflaziona, produce cioè tutte quelle qualità che sono caratteristiche di individui folli e che perciò portano alla catastrofe.

La cristianità ha nel corso degli ultimi secoli perso quel ruolo autorevole di definire ciò che è bene e ciò che è giusto. Questo tipo di autorevolezza è passata dall’essere attribuita alla metafisica, all’essere ancorata alla volontà di chiunque disponga di potere.

Il novecento ci ha mostrato che nessuno può imporsi sull’altro senza rimanere schiacciato dalla propria volontà di potenza. Il voler essere simile a Dio non divinizza l’uomo, ma lo rende arrogante e risveglia tutto il male che c’è in lui. Ne crea una caricatura diabolica insopportabile per gli esseri umani. Torturato da questa maschera e perciò torturatore a sua volta, così rimane scisso dentro di sé e incarna un miscuglio di contraddizioni inesplicabili.

Jung ricorda che non si tratta solo della storia tedesca, ma di quella europea. I fatti parlano un linguaggio più chiaro e a chi non lo capisce non è più possibile dare alcun aiuto. Ognuno dovrebbe veramente scoprire da solo il modo di affrontare questa visione terrificante. Non è davvero cosa da poco riconoscere la propria colpa e il proprio male, e nulla si guadagna a perdere di vista la propria Ombra. L’essere consapevoli della propria ombra presenta infatti il vantaggio di porsi nella posizione di poter cambiare e di differenziarsi dall’inconscio collettivo. E’ solo nella coscienza che si possono apportare correzioni psicologiche. La coscienza della propria colpa può dunque diventare il più potente stimolo morale.

In ogni trattamento della nevrosi occorre individuare l’Ombra, altrimenti non è possibile alcun cambiamento. Dove la colpa è grande, la Grazia può essere ancora più abbondante e un evento di tal genere produce una trasformazione interiore che è infinitamente più importante di riforme politiche e sociali, le quali non sono buone in mano a soggetti che non sono in pace con sé stessi.

E’ questo un principio che si continua a dimenticare, perché il nostro sguardo è attratto dalle contraddizioni esistenti attorno a noi, invece di spingersi a esaminare il proprio cuore e la propria coscienza. Quello che non va innanzitutto e l’essere umano stesso.

Se la colpa collettiva venisse compresa e accettata si compierebbe un notevole passo avanti, ma ciò non sarebbe sufficiente a portare alla guarigione. Occorre un completo rinnovamento spirituale, che non può essere inoculato dall’esterno, che ognuno deve ottenere con le proprie forze, per convivere con questa Ombra. Neppure è possibile valersi di vecchie formule, valide nel passato, perché le verità eterne non sono tramandate meccanicamente, ma devono in ogni epoca scaturire dall’anima umana.

7. Conclusione

Per concludere si rimanda al manoscritto di C.G.Jung redatto nel 1948 in lingua inglese in risposta ad una richiesta dell’Unesco, che in seguito ad una delibera della seconda assemblea generale aveva incaricato il segretario di promuovere “ricerche su moderni metodi elaborati dalle scienze dell’educazione, delle scienze politiche, della filosofia e psicologia, volti ad operare un cambiamento dell’atteggiamento mentale sulle circostanze politiche e sociali necessarie per favorire l’applicazione di determinate tecniche”. Tale manoscritto s’intitola Tecniche di trasformazione dell’atteggiamento mentale in vista della pace nel mondo e compare come paragrafo 6 nell’opera 10.2 delle Opere edite da Bollati Boringhieri

In tale manoscritto Jung precisa che il termine atteggiamento mentale, è qui inteso non solo come fenomeno mentale ma anche morale: un atteggiamento viene diretto e sostenuto dall’idea dominante conscia, che è accompagnata dalla tonalità affettiva che spiega l’efficacia di quell’atteggiamento. L’idea di per sé non produce nessun effetto pratico finché non raggiunge il supporto di una qualità emotiva, senza di essa c’è dissociazione nevrotica. Questo spiega perché il mutare d’atteggiamento non sia affatto un compito facile, dato che implica sempre un considerevole impegno morale. Se quest’ultimo venisse a mancare, l’atteggiamento non verrebbe mutato realmente e, dietro la maschera di nuove massime, continuerebbero a sussistere le vecchie abitudini di vita.

Dai tempi medievali il nostro orizzonte mentale si è ampliato enormemente, ma purtroppo solo in senso unilaterale. L’oggetto esterno prevale sulla disposizione d’animo interiore. Sappiamo pochissimo di noi stessi, anzi rifuggiamo dal saperne di più. E tuttavia è l’essere umano ad avere esperienza dal mondo, ed ogni esperienza è determinata tanto dal soggetto quanto dall’oggetto. Logicamente, quindi, il soggetto dovrebbe essere altrettanto importante dell’oggetto, ma in realtà sappiamo infinitamente meno della nostra psiche che degli oggetti esterni. L’inconscio degli individui dotati di un alto grado d’istruzione, spesso assume, sotto certi aspetti forme incredibili, per non parlare dei loro pregiudizi e del modo irresponsabile con cui non si occupano degli oggetti interni. L’esempio che essi danno alle masse, produce effetti disastrosi. Conosciamo ora meno aspetti della psiche che nel Medioevo, poiché la nostra presa di coscienza e la nostra educazione non hanno tenuto il passo con l’orizzonte esterno i cui confini sono in continua espansione. E’ evidente che una conoscenza più approfondita della psiche umana prende le mosse da una migliore comprensione di sé stessi. Quando il metodo ha buon esito, spesso consente di integrare nella coscienza molto materiale che fino a quel momento era rimasto inconscio, con il risultato sia di ampliarne l’orizzonte, sia di accrescerne la responsabilità morale. Il pericolo principale sta nell’egoismo diretto ed indiretto, cioè nell’essere inconsapevoli dell’eguaglianza ultima dei nostri simili. L’egoismo indiretto si manifesta principalmente in un altruismo smisurato, capace perfino di imporre al nostro prossimo ciò che sembra buono e giusto a noi stessi, mascherandosi dietro ai principi dell’amore cristiano per il prossimo, dell’umanitarismo e dell’aiuto reciproco. L’egoismo presenta il carattere dell’avidità che si manifesta in tre modi: istinto di potenza, concupiscenza e accidia morale. A questi tre flagelli morali si aggiunge il più temibile che è la stupidità.

Una nazione è costituita dalla somma degli individui che la compongono, e il suo carattere corrisponde alla moralità media dei suoi componenti. Non v’è nessuno che sia immune da un male diffuso in tutta la nazione. Se coloro che si trovano alla guida non fanno parte di quella minoranza che sia immune dal male collettivo, resteranno vittime della loro volontà di potenza. L’avidità accumulata in una nazione sfugge a ogni possibilità di controllo a meno che non la si contrasti con la forza. Per questo il metodo analitico, che è essenzialmente un procedimento dialettico, la cui applicabilità ed efficacia è limitata rigorosamente all’individuo, costituisce una prevenzione necessaria in vista della pace nel mondo.

Zaira Cestari.

Bibliografia

C.G.Jung ( 1913-36). Tipi Psicologici. Opere, vol. 6, Torino, Bollati Boringhieri

C.G.Jung, (1929). Commento all’antico testo cinese “il segreto del fiore d’oro”, Torino, Bollati Boringhieri

C.G.Jung. (1941-58). Civiltà in transizione. Dopo la catastrofe. Opere, vol.10, Torino, Bollati Boringhieri.

Von Franz M.L. And Hillman J. (1971). Lectures on Jung’s Typology, Zurich, Spring Publications

I morsi dell’Anima

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