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Anima dalla quarantena

Articolo pubblicato sulla Rivista di Psicologia Analitica, 101/2020 n. 49 Passato e Presente, Casa Editrice Astrolabio

http://www.astrolabio-ubaldini.com/scheda_libro.php?libro=1495

Il 18 marzo 2020, mentre gioco al sole con il mio bimbo sulla terrazza di casa mi accorgo che sento una serenità insolita. Non mia penso, o forse anche, ma non solo mia. C’è quiete!!In strada, le automobili non passano,tuttavia mi sembra di percepire una quiete che viene da oltre la strada, da altre strade, dal cielo, dal mare, dalle piazze. E’ quiete ovunque. Arriva un grosso insetto nero che cerca un buco per fare la sua casa. Mi sembra uno scarabeo…chissà, non sono un’esperta di insetti. Però la mente va a Jung ( per chi non lo sapesse, è abbastanza noto un aneddotto di C.G.Jung a proposito dello scarabeo) e mi chiedo cosa direbbe lui a proposito di questa situazione di quiete forzata e di questa pandemia. In camera, da cui si apre la terrazza, ho lasciato da mesi su di un mobile il libro “Jung parla”. Lo apro e “casualmente”, trovo questa intervista che vi riporto con dei spezzoni che ho selezionato per rispondere a questa domanda specifica che “ho posto” al caro maestro. 27 febbraio 1931Intervista di Whit Burnett a C.G. Jung intitolata “L’America deve dire di no””I ritmi americani vengono oggi assunti come la norma su cui va impostata la vita. (…).Quello di cui l’ America ha bisogno, a fronte della potentissima spinta verso il conformismo, verso il desiderio di oggetti materiali, di cose che complicano la vita, verso il desiderio di essere uguali al proprio vicino di casa, di superare tutti i primati, e cosí via, é la capacitá, semplice e salutare, di dire di No. La capacitá di fermarsi un attimo e di capire che molte delle cose desiderate sono superflue per vivere felici. (…). Tutti noi incominciamo ad avvertire che qualcosa non funziona nel mondo…tutti abbiamo voglia di semplicitá. Tutti soffriamo, nelle nostre cittá, per la mancanza di cose semplici. Vorremmo vedere deserte le nostre monumentali stazioni ferroviarie, deserte le strade, e sentire scendere su di noi una grande pace. (…)Se non si presta attenzione ai simbolici avvertimenti dei sogni e del suo corpo, si dovrá pagare in altri modi: la nevrosi é semplicemente il corpo che assume il comando, indipendentemente da quello che vuole la coscienza. (…)Quando intere nazioni eludono questi avvertimenti, (…) il pericolo é grande. L’ ultima guerra, pensavo, ci ha insegnato qualcosa. Ma a quanto pare, non abbiamo imparato la lezione. Il nostro desiderio inconscio di luoghi deserti, di quiete, di inattivitá, potrebbe proiettarci, contro la nostra volontá cosciente, in un altra catastrofe, dalla quale forse non ci riprenderemo più.”Questa serenità allora non è solo mia, rifletto, ma è quel riposo che si manifesta in seguito ad un’esplosione conseguente ad una tensione. L’inconscio del mondo ha parlato. Ha fatto ciò che doveva fare. Attraverso i pipistrelli o attraverso le mani in un laboratorio: questo non fa nessuna differenza per la psiche profonda. La pandemia è scoppiata. L’inconscio parla con modalità inconscie, che sia attraverso la natura ( incendi, animali, etc) o attraverso l’essere umano agito dall’inconscio (incendio doloso, virus creato in laboratorio, etc). Forse vuole invitare le nostre coscienze a rivolgerci all’ interno. Ad ascoltare l’anima del mondo ferita. E’ questo che la quiete forzata ci stia portando? Ció che dice Jung lo sento come una verità profonda, che parla dello spirito del profondo, per usare la terminologia junghiana. Se resto in ascolto del profondo, aprendo la coscienza a qualcosa che trascende le necessità dell’Io, sento estranee le reazioni di rabbia ed angoscia provocate dalle limitazioni, ma percepisco invece che una tensione si è sciolta: finalmente ci sono limitazioni a fronte di un mondo attivissimo, estrovertito e troppo, unilateralmente materialistico. Rabbia, angoscia e paranoia, arrivano nelle telefonate degli amici e parenti e nella stanza della terapia. Tuttavia in questi due mesi, poco, mi sembra, si è trasformato nelle telefonate dei congiunti, ma lì, in terapia, dove si sceglie di dare ascolto al profondo, all’inconscio e a suoi simboli e sintomi, ecco che rabbia, paranoia ed angoscia si colorano di un senso che sta sullo sfondo del cammino che il paziente fa. Quarantena e Covid diventano personaggi piccolini, tra i tanti, che si incontrano in questo cammino. Il camminante visualizza in parte il percorso lungo le tappe e gli incontri che si illuminano della luce corrispondente al senso di cui sono portatori; anche i vissuti più dolorosi, caratterizzati da distruzione ed orrore, vengono illuminati da questa luce significativa. Rabbia ed angoscia portano l’energia del camminante che per troppa sofferenza ha indossato maschere ed armature pesantissime. Trattare esclusivamente in senso concretistico le emozioni da cui ci sentiamo abitati in modo prepotente durante la quarantena, ovvero trattandole solo come conseguenti alla reclusione,all’isolamento,alla paura della crisi economica, può significare chiudersi di nuovo nella bolla dell’Io, e negarci il dialogo con l’anima, con l’inconscio, con il profondo. La reclusione, l’isolamento svela, a volte drammaticamente, quelle emozioni che hanno, fuori dalla frenesia occidentale post moderna, l’occasione per essere ascoltate. Paranoia, già la parola suscita se stessa: stato mentale definito esclusivamente patologico e delirante dai manuali diagnostici psicologico-psichiatrici, è uno stato coriaceo, sorretto da una tale coerenza di pensiero, da non lasciare, quando si manifesta, neanche uno spiraglio per far filtrare la luce all’interno e illuminare l’Anima. Paranoia ora è visibile, tangibile. Emerge come disturbo collettivo oltre che individuale. Paranoia era presente prima della quarantena e la quarantena stessa è fatta di Paranoia: “vacciniamo contro tutte le malattie, controlliamo, sterilizziamo” Oppure Paranoia parla contro la paranoia stessa: “questo controllo paranoico mi vuole controllare, c’è un complotto”. Tutto talmente logico da creare una realtà coerente, ma anche coriacea. Ciò che è difficile lì, è far filtrare la luce del dialogo. Quello che la paranoia sostiene è condivisibile, comprensibile, talvolta non negabile. Da una parte e dell’altra, dentro e fuori, Tuttavia, forma un velo dietro cui si nasconde l’Anima del mondo e separa gli individui gli uni dagli altri. Accogliere la paura significa, osservarla, stabilire con essa un dialogo, riconoscerne l’anima, senza che essa si trasformi in difesa paranoica. L’anima parla, con o senza l’ascolto della coscienza. Nel 1931 Jung avvertiva, da studioso dell”inconscio e della sua dinamica, che il dialogo con l’Anima, è essenziale per una cultura ed una civiltà che siano in equilibrio con l’ambiente, con la natura ed i suoi ritmi.C’è un ciclo vitale dal quale non si sfugge, ci sono leggi biologiche che costituiscono i nostri limiti, c’è un inconscio che porta la saggezza e i dolori dell’umanità, dal quale non possiamo fuggire perchè ne facciamo parte. Piccole coscienze in un mare inconscio che ci sorregge e che ci guida. Esso agisce con o senza il nostro contributo. Distruzione o costruzione, questa è la cifra del libero arbitrio,che altri non è che dialogo con quest’Anima sommersa.

Pisa, 6/5/2020 Zaira Cestari

Bibliografia: Jung Parla, Interviste ed incontri, A cura di William McGuire e R.F. C. Hull, 1977, Milano, Adelphi edizioni

Bollingen, 2015

La psicoterapia del profondo: l’incontro con l’Altro, con il Diverso

Lavoro come psicoterapeuta ad indirizzo analitico junghiano, approccio che non è stato solo una scelta a scopi professionali, ma è stata una scelta di stile di vita. La visione che questa psicologia permette, è lo strumento principale di lavoro e di approccio alla vita e a ciò che accade. La sfida e forse lo scopo di questo modus vivendi è quello di interagire con il diverso, anche con quello mai immaginato fino ad ora come utile per la propria crescita.

La richiesta che spesso mi viene posta nel quotidiano è quella di consigli (che non è previsto dall’etica professionale) o di parole magiche che possano lenire sintomi e dolore, che celano psesso il timore, legittimo (e poi vedremo perchè) che io possa “psicanalizzare” nel corso del colloquio

La richiesta di cui sopra giunge per un sentimento umano che da valore alla crescita, al superamento di se stessi e all’aspirazione ad un ideale. In quest’ottica la richiesta appare allora legittima, in quanto la piscoterapia del profondo è la strada per giungere al centro di se stessi, ove molto può essere visto, anche se non contemporaneamente, ma da cui comunque è possibile accedere alle parti di sé prima vissute senza coscienza, come se fossimo da esse possedute. Conoscerle significa vedere, vivere e sentire le risorse per gestire gli eventi della vita esteriore e i turbamenti dell’anima.

Tuttavia dalla psicologia junghiana stessa, oltre che dalla vita, apprendiamo che ogni esperienza, vissuto, sentimento, pensiero ha il suo opposto, e che il problema del male non si può evitare in questa strada. Anche questa stessa strada ha un suo opposto e anche essa, sebbene voglia ergersi al di sopra del bene e del male, getta un’immancabile ombra.

Da queste riflessioni emerge, nel percorso terapeutico, la necessità di considerare che anche l’individuazione junghiana è un mito. E allora, si può percorre la strada sapendo che il cammino non è mai finito. .Nulla di ciò che accade non ha un seguito. E nulla non ha il suo diverso. Ecco forse la difficoltà sta nell’accettare questo. Come se dovesse sempre esserci qualcosa di meglio, e scoprire che non è cosi, porta il conflitto inconscio ad una tragedia conscia.

Quando si scopre di non poter far altro che fare piccoli passi, diventa possibile percorrere la strada con impegno e serietà, mantenendo una visione ironica, e un energia giocosa.
La consapevolezza è importante, ma la differenza di consapevolezza tra gli esseri umani e tra un proprio prima e un proprio dopo è minuscola. Importantissima ma minuscola.
Tra la ricerca di una formula magica e il pregiudizio che la psicologia non serva a nulla, esiste qualcosa che rende entrambi gli enunciati veri ma limitati: il cambiamento è possibile, ma sarà visibile solo all’interno di aspettative umane. Nessun miracolo è prevedibile. Non impossibile ma questo come diceva Jung, dipende dal Deo concedente.
La psicoterapia non può seguire le leggi del metodo scientifico galileiano di prevedibilità e replicabilità, poichè i fattori in gioco sono troppo complessi per essere estrapolati dal tutto che costituisce la relazione terapeutica. Eppure ci sono certi cambiamenti prevedibili che rendono poi a loro volta più probabili successivi passi, come ad esempio l’iniziare a prestare attenzione ai propri sogni, aumenta l’accessibilità del sognatore ai propri sogni notturni e al proprio inconscio e “sentirsi vivi non è solo un fatto fisico, è un fatto psichico. Siamo vivi quando ci sentiamo vivi. Ciò che ci fa sentire vivi è il contatto con la psiche inconscia, per questa ragione i sogni sono così importanti” (M.L.Von Franz, Il mondo dei sogni).

Comprendere prima e accettare poi sia la libertà ma anche la limitatezza del proprio cammino, ci pone in una dimensione in cui la coscienza è umanizzata. E l’essere umano è quello che può compiere sia il bene che il male. Il male esiste e non è solo assenza di bene. E una dimensione esistente al pari del bene. E non è la sola volontà che decide quale strada intraprendere, ed essere schiavi di un giudizio che condanna il male non cancella il male.
Vediamo questo punto con le parole di Jung:

“ (…)noi non abbiamo immaginazione del male, ma il male ci ha in suo potere. Alcuni si rifiutano di saperlo e altri invece si identificano con lui. Questa è la situazione psicologica del mondo odierno: gli uni si chiamano cristiani e immaginano di calpestare il cosiddetto male soltanto volendolo; gli altri ne sono divenuti preda e non vedono più il bene. Il male oggi è divenuto una visibile grande potenza: metà dell’umanità si sostiene sulla base di una dottrina costruita dal raziocinio umano; l’altra metà deperisce per la mancanza di un mito commisurato alla situazione”

C.G.Jung, Ricordi Sogni e Riflessioni

Sulla stessa linea di quanto affermato precedentemente in questo articolo, la psicoterapia del profondo non mira ad un idealità, come a prima vista, il linguaggio simbolico porterebbe a pensare, e quindi non mira alla guarigione, alla perfezione, al bene assoluto, ma la direzione, ribadisco è quella verso il centro, verso la totalità complessa della psiche, da dove è possibile osservare meglio ciò che è nostro. La meta, che mai è raggiunta, per la natura dinamica della psiche, è quella di una coscienza il più ampia possibile e di una coscienza che rimane aperta proprio perchè vede che c’è qualcosa anche oltre a ciò che può vedere.

“O uomo, se sai quello che fai sei benedetto; ma se non lo sai sei maledetto e sei un trasgressore della legge” Vangelo aprocrifo (Codex Bazae ad Lucam)

“Faccio proprio quel male che non vorrei” S. Paolo

In questo fiume del percorso di vita e del percorso analitico, un primo importante obiettivo dell’analisi psicologica può essere quello di iniziare a camminare sapendo che c’è sopratutto all’inizio, una forte e violenta forza di gravità che invita suadente alla regressione e quello, allo stesso tempo, di accettare che c’è tanto da fare, talmente tanto che i piccoli passi sono importantissimi. Ma sono importanti proprio perchè sono piccoli. Vedere il piccolo passo come importantissimo e tuttavia vedere che è solo un piccolissimo passo, ma bellissimo, comporta allo stesso tempo una liberazione da pesi assai opprimenti e un ridimensionamento dell’ego. Poiche, come dice Jung:

“Questo nucleo è costituito all’inconscio e dai suoi contenuti, sul quale non possiamo pronunciare alcun giudizio definitivo. Ne abbiamo necessariamente idee inadeguate, poiché siamo nell’impossibilità di comprenderne l’essenza con un atto conoscitivo, e di stabilirne i limiti razionali”

e ancora:

“La scienza si serve del termine “inconscio” e con questo ammette di non saperne niente, poiché non può conoscere nulla della sostanza dell’anima, in quanto l’anima è appunto l’unico suo mezzo di conoscenza”

(C,G.Jung, Ricordi, Sogni e Riflessioni)

E non c’è infatti una direzione giusta. L’esigenza di qualcosa di assolutamente giusto, emerge in una dimensione di ricerca di sicurezza. La sicurezza è un bisogno primario, biologico, ma su un piano psichico rappresenta la regressione. Mentre il cammino nell’oscurità, il rischio rappresenta un’evoluzione psicologica, e come dice E. Harding “Evidentemente è una legge di vita che ogni essere vivente non debba ristagnarsi ma evolversi.”

La psicoterapia del profondo si svolge nella tensione tra conquista biologica (che ci da scicurezza) e conquista psicologica (che viene dal rischiare). In quest’ottica, non ci sarà mai la strada perfetta, come nemmeno una donna, un uomo, un figlio, un genitore, un amico, e cosi via, perfetto. Ci sarà un strada che ci calza e che si imparerà ad amare dopo gioie e sofferenze, dopo dubbi e piaceri. Così come succede nelle relazioni. 
Se qualcosa piace già è un buon segno. La ricerca di perfezione non è amore. Quando nasce amore e accettazione per la propria umanità, ci sarà la possibilità di amare anche l’Altro, lo Sconosciuto, il Diverso.

“La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell’universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell’anima.” (C.G.Jung)

Accogliere il dolore e la sofferenza di se e degli altri è qualcosa che emerge in sincronia con la possibilità di rinuncia alla perfezione e quando la paura della contaminazione cessa. La psicoterapia del profondo conduce laddove è possibile lasciare emergere il caos a fianco della volontà che con calma e amore mette un po di ordine in quello stesso caos, senza urgenza o frenesia.

Zaira Cestari.